MENDEL E LA TEORIA SULL’EREDITARIETA’

L’8 febbraio 1865 il naturalista Gregor Mendel formula la teoria dell’ereditarietà.

Nel passaggio da una generazione all’altra di ogni specie di esseri viventi si trasmettono dei caratteri che influiscono sull’aspetto estetico e sulla struttura interna degli ultimi nati. E’ la teoria dei “caratteri ereditari” che scoprì per primo un frate agostiniano del XIX secolo, considerato il precursore della genetica moderna.

La sua attenzione si focalizzò sulle piante di pisello, le cui caratteristiche, in particolare la riproduzione per autofecondazione, si prestavano allo studio dell’ereditarietà. Dopo sette anni di selezione, l’abate identificò sette “Linee pure”, ossia altrettante varietà di pisello che si differenziavano per caratteri estremamente visibili (la forma del seme, liscia o rugosa; colore del seme; forma del baccello, etc.). Incrociandoli tra di loro arrivò a scoprire che alcuni caratteri persi in un passaggio generazionale, erano stati recuperati in quello successivo o che in alcuni casi si manifestava soltanto uno degli aspetti delle generazioni parentali. Di qui giunse all’intuizione che avrebbe cambiato la scienza: l’esistenza negli esseri viventi di un preciso codice genetico, che si trasmette dai genitori ai figli e che passa di generazione in generazione per via ereditaria. Così si posero le basi per la genetica moderna, tra i cui principi cardine vennero indicate le cosiddette tre leggi di Mendel, ricavate dai suoi lavori. Il passo successivo fu l’identificazione dei cromosomi quale sede di quel patrimonio ereditario che si trasmette secondo le leggi di Mendel, fino ad arrivare alla preziosa scoperta del DNA.